La Legge delega n. 57/2001 si poneva quali obiettivi primari quelli, da un lato, di modernizzare la figura dell’imprenditore agricolo e, dall’altro, di razionalizzarne le fonti normative che risultavano alquanto segmentate, avendo a mente il contesto comunitario che, sebbene non offra una definizione univoca di agricoltura, apporta comunque un criterio cosiddetto “agroalimentare” nell’individuazione dei prodotti riconducibili al mondo agricolo.
Infatti, ai sensi dell’attuale art. 32 del Trattato comunitario, “per prodotti agricoli si intendono i prodotti del suolo, dell’allevamento e della pesca, come pure i prodotti di prima trasformazione che sono in diretta connessione con tali prodotti”.
La delega ha dato origine ai decreti legislativi n. 226, 227 e 228, tutti del 2001, con cui il Legislatore ha cercato di rendere maggiormente moderna e al passo con i tempi la figura dell’imprenditore agricolo, intervenendo, in primis, sull’articolo 2135 Cod. Civ., rendendo meno accentuata la connessione con il suolo attraverso l’integrale riscrittura dello stesso.
È in tale contesto che si deve leggere il D. Lgs. n. 226/2001, dedicato al settore della pesca, con cui è stata introdotta la figura dell’imprenditore ittico, equiparandola a quella dell’imprenditore agricolo.
Ai sensi dell’articolo 2 del D. Lgs. n. 226/2001, come sostituito dall’articolo 6 del D.Lgs. n. 154/2004, “è imprenditore ittico chi esercita, in forma singola o associata o societaria, l’attività di pesca professionale diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri o dolci e le attività connesse di cui all’articolo 3”.
Ma, oltre all’armonizzazione con il contesto comunitario di riferimento, altri motivi possono aver indotto il Legislatore a questa equiparazione che, tuttavia, si sottolinea come non abbia colto nel segno della delega, comportando un’applicazione dello statuto speciale, originariamente previsto per il solo imprenditore agricolo, in via estensiva anche agli imprenditori che, di fatto, non esercitano la propria attività sul fondo nel senso letterale del termine.
Tornando a indagare le possibili ulteriori motivazioni dell’equiparazione, esse possono, ad esempio, essere individuate nella sottoposizione di entrambe le figure al duplice rischio del mercato e della produzione.
Ancor prima di indagare il corretto significato da attribuire al termine “organismi acquatici”, bisogna evidenziare come, rispetto alla definizione di imprenditore agricolo, dove uno dei capisaldi va individuato nel riconoscimento di un’attività produttiva o comunque di un ciclo biologico, in questo caso il riferimento viene fatto all’attività di raccolta e/o cattura (solamente l’acquacoltore svolge anche la fase della produzione dei beni, che in un secondo tempo raccoglie).
Tuttavia, a difesa dell’equiparazione potrebbe addursi che, pur in difetto di un effetto svolgimento di un ciclo biologico o di una parte di esso, è pur sempre indubbio che la raccolta e/o la cattura degli organismi acquatici è dallo stesso influenzata, poiché indirettamente ne sfrutta le capacità riproduttive.
Delineata e sottolineate le criticità dell’equiparazione, non resta che indagare cosa intenda il Legislatore quando si riferisce agli organismi acquatici. Ebbene, vi rientrano sicuramente i pesci, la categoria dei molluschi e quella dei crostacei.
Parimenti potrebbero rientrarvi gli anfibi, dal momento che detti animali sono integralmente acquatici in un determinato periodo dell’anno e a respirazione polmonare e a vita spesso non subacquea nell’altro.
Si possono far rientrare nella categoria le alghe o le spugne, anche se raccolte per essere cedute all’industria cosmetica, il corallo, perché al momento della raccolta esiste ancora una parte apicale viva e le perle, poiché al momento della raccolta rappresentano un mollusco vivo.
Per quanto attiene le attività connesse, affinché anch’esse possano essere equiparate, è necessario il rispetto di presupposti ben precisi individuabili in:
- unisoggettività, intesa come esigenza di identità tra il soggetto che svolge l’attività connessa e colui che svolge quella principale;
- necessità di non prevalenza delle attività connesse rispetto alla principale;
- realizzazione dell’attività per mezzo di utilizzazione prevalente di prodotti “derivanti dall’attività di pesca ovvero di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività ittica esercitata”.
Per quanto riguarda le attività connesse tipiche esse sono:
- pescaturismo, inteso come imbarco di persone che non costituiscono equipaggio a scopo turistico-ricreativo. Se ne evince che detta attività è similare a quella di agriturismo precedentemente commentata;
- ittiturismo consistente nell’offrire alloggio presso la propria casa o una struttura di proprietà. Questa attività si differenzia dal pescaturismo perché “mentre il pescaturismo coinvolge coloro che effettivamente vogliono sperimentare l’attività di pesca, anche se soltanto per alcune ore e a scopo ricreativo, l’ittiturismo riguarda coloro che, anche senza prendere parte alle uscite in mare aperto, vogliono avvicinarsi al mondo del mare e della pesca, fermandosi a soggiornare nell’abitazione del pescatore professionista o in altra struttura da lui adibita a tale finalità”;
- attività di “prima lavorazione dei prodotti del mare” e “di conservazione e trasformazione del medesimo” in cui si possono far rientrare la surgelazione, la preparazione di farine di pesce e l’inscatolamento ai fini della vendita.